Attraverso una call pubblica sono stati selezionati 5 giovani creativi under 25 per ricercare ed esprimersi attraverso diversi linguaggi sul rapporto della loro generazione con la città, intesa come spazio fisico e ideale.
Hanno preso parte alla residenza creativa Nutrimenti_habitat creativo [GenZ]:
per Associazione Demetra, Caterina Moroni, in qualità di tutor, e Luisa Contessa, Barbara Andreani e Emanuele Danielli, come supporto organizzativo, hanno facilitato il percorso. La psicologa e arteterapeuta Elena Poddi è stata invitata ad osservare il processo.
Attraverso una serie di appuntamenti collettivi e individuali, ogni partecipante alla residenza ha sviluppato una personale proposta creativa.
Durante i giorni di residenza, con cadenza periodica, sono state proposte delle parole inizialmente condivise e approvate da tutto il gruppo. Tali parole sono state utilizzate come stimolo per la ricerca, per provare a indagare e rappresentare attraverso la propria sensibilità e creatività alcuni concetti immateriali.
Parole come confine / dualismo/ Dio / corpo/ sensibilità, scelte per NON essere rinchiuse nel loro unico significato, per allontanare dalla certezza e avvicinare al dubbio, per non temere la complessità, per sviluppare pensieri laterali e punti di vista critici e personali lasciando spazio alla sorpresa e alla scoperta.
La residenza si è conclusa con un intervento/ installazione su un mezzo di trasporto pubblico, durante il suo normale tragitto e funzionamento. Le immagini, i materiali prodotti e gli interventi individuali ideati, come frammenti di un unico discorso, hanno incontrato pubblico informato e pubblico inconsapevole.
Questi gli interventi sperimentati dai e dalle partecipanti alla residenza artistica durante l’apertura pubblica sulla linea 5 dell’autobus della linea urbana di Terni.
Aurora Ruffini / CAMISCIBBAI
Composizione partecipativa di una immagine
Attraverso una relazione con una persona alla volta, durante ogni corsa dell’autobus andrà a comporre un’immagine utilizzando i seguenti elementi: foto di Terni come fondali vari, foto dei compagni di ricerca a figura intera, monumenti, animali fumetti per inserire del testo.
L’obbiettivo è quello di collezionare una serie di cartoline da terni realizzate collettivamente con le persone che si presteranno al gioco.
Elisa Patoia / Morracinese
Il segnale di obbligo di tenersi saldamente agli appositi sostegni viene sostituito/accompagnato da specifici segnali per incitare al gioco durante il tragitto in autobus. Il quotidiano mezzo di trasporto diviene così attivatore di incontri ludici e relazioni inaspettate.
Elisa Patoia / Cartoline
Alcuni dei materiali prodotti durante la residenza artistica vengono rielaborati e trasformati in cartoline da donare ai viaggiatori.
Chiara Rensi /La vita è una corsa in autobus
Chiara ha scelto di interagire con le persone in viaggio attraverso la parola improvvisata. Ogni appiglio quotidiano diviene spunto di conversazione per sondare i massimi sistemi, i valori, il linguaggio extra-ordinario.
Dopo la residenza, come ulteriore output della ricerca, ha realizzato anche delle felpe con delle proprie frasi poetiche.
Giovanni Valentino Gatti / Secret writer _ poesia in tempo reale
Durante ogni viaggio osserverà e scriverà in forma poetica sulla base degli stimoli (ambientali e umani) che saprà cogliere in un flusso continuo e concentrato. Di tanto in tanto le sue creazione vengono declamate.
Durante il periodo di residenza artistica di Nutrimenti_habitat creativo 2022 [GenZ], rivolto a giovani creativi under 25, la psicologa e arteterapeuta Elena Poddi è stata invitata ad osservare il processo.
Cos’è un osservatorio di una residenza artistica? Che senso ha osservare un processo creativo? Un osservatore entra nel processo, interviene e fa parte del processo pur restando silenzioso, in disparte, discreto, eppure in qualche modo inevitabilmente condiziona il processo.
Se poi questo osservatore è una psicologa, con l’immaginario che questo “ruolo” porta con sé, in che modo questa presenza “interferisce” con il processo artistico di 5 ragazze e ragazzi? Ovviamente mi sono chiesta tutto questo prima di entrare nel gruppo di lavoro “Nutrimenti_GenZ”.
Durante il primo incontro dal vivo del gruppo è uscito fuori che “l’arte necessita di uno stato doloroso”, che “per creare si deve soffrire”, che “la sofferenza da forma all’espressione”. Caterina Moroni, tutor del percorso artistico, con il compito dichiarato di porre i partecipanti costantemente difronte a dilemmi decisionali per incentivarne la partecipazione e il coinvolgimento, ha dunque da subito alzato un punto interrogativo: “È davvero così? E perché?”
Da arteterapeuta non posso che confermare che l’espressione artistica aiuta a dare una forma riconoscibile, sostenibile a contenuti a volte non facili da gestire. Il dibattito, oggi molto ricco di contributi, sul ruolo delle artiterapie come strumento di “cura”, concorda nel considerarle un prezioso mezzo per imparare a dare forma, partendo dal Contatto, modulando l’Attenzione e avendo sempre rispetto della Relazione. La Psicoterapia può arricchirsi del linguaggio artistico per esplorare più nel profondo l’inconscio, per riconoscere i meccanismi di difesa e anche per scovare quelle risorse non sempre “disponibili” che possono aiutare a modificare e migliorare la propria condizione esistenziale.
Nel processo creativo si sperimenta la possibilità di agire trasformazioni e darsi la possibilità di agire una trasformazione, anche se apparentemente “solo” su un materiale, è la condizione fondamentale per accorgerci di quanto e come possiamo “modificare” qualcosa dentro e fuori di noi, per iniziare a vedere possibilità percorribili nonostante la paura a volte può bloccare l’immaginario. Vedere il segno che lasciamo, rendere visibile qualcosa che sembrava così impercettibile all’altro, constatare che i nostri gesti hanno un’intenzione e producono effetti, è il presupposto per riappropriarsi del proprio potenziale trasformativo.
Altro aspetto fondamentale che ci sottolinea l’importanza dell’esperienza artistica in un processo evolutivo più ampio, è ovviamente il ruolo centrale del corpo. Un corpo che cambia e che sa cambiare può accogliere quelle sensazioni non sempre rassicuranti che destabilizzano alcune fasi della vita. Non esiste processo creativo senza un corpo che sente. Nel sentire i nostri confini definiamo la nostra presenza e oltre ad immaginare e creare rappresentazioni noi sentiamo e valutiamo le esperienze collocandole nel piacere o nel dolore ed è proprio questo vissuto ad orientarci e ad orientare il nostro comportamento.
In questa esperienza condivisa con il gruppo di “Nutrimenti_GenZ” il rapporto con il piacere è divenuto presto il focus della mia ricerca.
Il Piacere dove sta? Cosa genera? A cosa da forma?
Questi interrogativi hanno orientato il mio sguardo. Sapevo cosa volevo osservare: volevo osservare se e dove si annidasse il piacere con le spinte che può generare.
Il piacere c’era…eccome… e ha permesso il processo creativo. Era il piacere di occupare uno spazio, di poter prendere spazio, lasciare un segno, dire, disfare, gettare confusione nel gruppo, vedere gli effetti che il proprio gesto o parola aveva sugli altri, sentire che il proprio momento per essere al centro non era esibizione ma condivisione.
Quello che ho osservato era la voglia di essere e sentirsi presenti. Il piacere dell’Essere Presenti.
Ci sono stati momenti in cui qualcuno del gruppo, nella liberta di decidere quando esserci e come esserci, si è sentito di poter dire “io oggi non ci sono” e poi però, nel percepire che qualcosa avveniva ugualmente senza di lui/lei, fare di tutto per esserci, avvertendo forse il desiderio di non perdersi qualcosa, di non lasciare vuoto quel posto, il proprio posto.
Il gruppo ha una forza necessaria, ha quel potere così essenziale di generare un confine che permetta a qualcosa o qualcuno di manifestarsi.
Molto spesso i giovani vengono messi in guardia verso l’Altro, vengono sollecitati a temere tutti quei rischi che si annidano nel gruppo, a stare attenti, valutare, saper riconoscere, diffidare… viene sostenuta un’allerta verso l’altro che può confondere l’IO.
Eppure l’Altro, Gli Altri, Il Gruppo permettono ciò che di più efficace c’è nella crescita e nella formazione identitaria: Il rispecchiamento.
È noto infatti, dalle teorie di Winnicott prima e dalle neuroscienze oggi, che l’aspetto relazionale attinente alla percezione della nostra immagine proviene dal volto materno, primo ed autentico specchio il cui bambino si cerca e si vede (o non si vede) e si riconosce (o non si riconosce).
Dunque, fin dalla nascita il vero specchio dell’Io è lo sguardo dell’altro, da cui nel bene o nel male non possiamo mai prescindere. Questa presenza dello sguardo dell’altro, più o meno invocato, più o meno temuto, e a volte sentito come violento ed intrusivo, è parte integrante del modo in cui l’individuo si vede e si rappresenta, nel dubbio, nel dolore, nella desolazione, nella gioia e nell’esaltazione: c’è sempre dentro di noi, nel momento in cui ci rappresentiamo a noi stessi, lo sguardo di qualcuno che ci osserva e ci giudica, ci assolve o ci condanna.
Nel gruppo gli sguardi si incrociano e si evitano per poi ricercarsi e ridefinirsi in una lenta e cauta messa a fuoco fatta di piccolissime “correzioni” e per confluire in uno sguardo che può orientarsi nella stessa direzione ma ricco di tutte quelle singolarità che sono i punti di vista di ognuno.
Se in adolescenza ci si con- fonde nell’Altro è per una reale necessità che poi genera un bisogno successivo di Ri-definizione di chi sono io. Evitare questi passaggi protegge solo apparentemente.
Compito di tutti coloro che “si prendono cura” è riportare i ragazzi nel gruppo e favorire il piacere di appartenere e di condividere, sostenendo l’importanza della relazione. Nei 15 giorni in cui si è svolta questa residenza 5 ragazzi e ragazze sono diventati un gruppo di lavoro, un gruppo di amici, un gruppo di ricerca, un gruppo di esploratori.
Cosa esplorare non sempre era chiaro/dichiarato ma lo sguardo curioso dava la spinta. Ci sono stati momenti in cui l’obiettivo non era a fuoco e poteva venir voglia di spostare ed evitare ma il gruppo restava in supporto, cercava insieme una soluzione percorribile e generava soluzioni creative laddove sembravano non esserci. È stato interessante per me rimandare e condividere questi piccoli funzionamenti per arricchire, spero, la loro esperienza.
Per approfondimenti www.elenapoddi.com
* C.U.R.A. – Centro Umbro di Residenze Artistiche è composto da La Mama Umbria, International di Spoleto, Gestioni Cinematografiche e Teatrali/ZUT di Foligno, Indisciplinarte srl di Terni, Centro Teatrale Umbro di Gubbio e Micro Teatro Terra Marique di Perugia. Dal 2015 realizza residenze multidisciplinari, progetti di comunità e rigenerazione dei territori e nello spazio pubblico e percorsi di incubazione di nuove idee legate ai linguaggi artistici contemporanei e alle tecnologie digitali. Un modello unico e innovativo di ricerca e sviluppo nell’ambito delle arti performative con artisti nazionali e internazionali, per rafforzare il ruolo della Regione Umbria nel settore dello spettacolo dal vivo e favorire la crescita e lo sviluppo del tessuto artistico regionale al livello nazionale e internazionale. C.U.R.A. è un progetto sostenuto da MiC e Regione Umbria nell’ambito del progetto nazionale di Residenze Artistiche
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